Non so quante volte ho preso in mano questa scatola

original

di Elisabetta

Non so quante volte ho preso in mano questa scatola, è usurata dal tempo e dai ricordi di gioco.
Fuori è troppo caldo per uscire, voglio giocare.
225 caselle, un quadrato 15×15 ed un sacchetto di lettere.
Sento le vocali leggere e le consonanti pesanti.

1° lettera O – 1 punto

2° lettera I – 1 punto

3° lettera O – 1 punto

Non male, tre vocali.

4° lettera D – 4 punti.

Mi fermo, non arrivo a 7. Guardo le lettere nella mia mano avvicinarsi e comporsi.
Sulla plancia metto la O, tonda, infinita un piccolo vortice di potenza che gira in senso orario e mi fa venire le vertigini.
A sinistra arriva la I. IO, due punti. Solo due punti a me? al mio essere unico, speciale, a tutto ciò che sono?
Provo rabbia perché con tanta sintesi mi definisci o perché sento il peso dell’essere diverso da altri io.
Ancora a sinistra D. Dio, 6 punti. Da io a Dio, un passaggio rapidissimo. È sempre stato così nella storia degli uomini e nella mia.
Quanto ogni giorno nel mio agire e reagire sento il comando di un Dio che come uno specchio riflette il mio io?
Sento il caldo della giornata aumentare nonostante le persiane chiuse.
Ultima lettera, ancora a sinistra O. ODIO 7 punti. È il nero acromatico che assorbe la luce, la mescolanza sottrattiva dei pensieri, l’assenza di luce che arriva agli occhi e al cuore.
È bastato comporre una parola da destra a sinistra, camminare all’indietro invece di andare avanti.
Forse l’odio è proprio questo mio andare al contrario del mio essere, sentire il vortice della O, la fredda rigidità della I, il dolore dei sogni non realizzati cullati dalla D  e il vortice antiorario dell’ultima O che deflagra all’esterno.
Fa ancora caldo e mi perdo a pensare.

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